Spazi naturali, 1941 – 1989

Dipingere la natura non significa dipingere il soggetto, bensì concretizzarne le sensazioni.

Paul Cezanne

Quando Dady Orsi dipinge i luoghi che più ama (Venezia, il Lago Maggiore, il Lago di Varese, Bonassola) emerge una marcata semplificazione formale in senso geometrico (evidente qui la lezione di Cézanne).

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Gli elementi del paesaggio sono ridotti a forme, mentre gli spazi sono disabitati. La pittura si concentra sulle sensazioni che il paesaggio evoca piuttosto che sulla sua descrizione. A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta spicca una serie di paesaggi costruiti ognuno sulla base di un pattern diverso: ad esempio, il ripetersi di piccoli cerchi restituisce il brillio diffuso dell’atmosfera marina e lacustre; le placche rettangolari di colore richiamano la placida uggiosità del lago. Nelle marine dipinte tra gli anni Settanta e Ottanta, le onde angolose e i duri scogli sono allegoria della crudeltà di certe circostanze della vita. I cieli sopra l’amata Bonassola, eseguiti all’acquerello, sono invece immagine libera e fluida del continuo rimescolarsi degli elementi. Attorno alla metà degli anni Ottanta nasce l’idea degli Spazi naturali, opere di grande dimensione dove l’artista «trasforma la realtà in composizioni di masse e segni né geometrico-astratte né apertamente esplicative» (Meneghetti 1984). Questa serie di dipinti e disegni a pastello sono caratterizzati dall’uso di un colore forte e antinaturalistico. Il metodo seguito nella realizzazione di queste opere è selezionare un frammento di un dipinto di Matisse amplificandolo su grande scala. Gli Spazi naturali sono una riflessione sugli elementi del paesaggio come origine dell’astrazione.