Dipingere la natura non significa dipingere il soggetto, bensì concretizzarne le sensazioni.
Paul Cezanne
Quando Dady Orsi dipinge i luoghi che più ama (Venezia, il Lago Maggiore, il Lago di Varese, Bonassola) emerge una marcata semplificazione formale in senso geometrico (evidente qui la lezione di Cézanne).
Gli elementi del paesaggio sono ridotti a forme, mentre gli spazi sono disabitati. La pittura si concentra sulle sensazioni che il paesaggio evoca piuttosto che sulla sua descrizione. A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta spicca una serie di paesaggi costruiti ognuno sulla base di un pattern diverso: ad esempio, il ripetersi di piccoli cerchi restituisce il brillio diffuso dell’atmosfera marina e lacustre; le placche rettangolari di colore richiamano la placida uggiosità del lago. Nelle marine dipinte tra gli anni Settanta e Ottanta, le onde angolose e i duri scogli sono allegoria della crudeltà di certe circostanze della vita. I cieli sopra l’amata Bonassola, eseguiti all’acquerello, sono invece immagine libera e fluida del continuo rimescolarsi degli elementi. Attorno alla metà degli anni Ottanta nasce l’idea degli Spazi naturali, opere di grande dimensione dove l’artista «trasforma la realtà in composizioni di masse e segni né geometrico-astratte né apertamente esplicative» (Meneghetti 1984). Questa serie di dipinti e disegni a pastello sono caratterizzati dall’uso di un colore forte e antinaturalistico. Il metodo seguito nella realizzazione di queste opere è selezionare un frammento di un dipinto di Matisse amplificandolo su grande scala. Gli Spazi naturali sono una riflessione sugli elementi del paesaggio come origine dell’astrazione.










